Come un cavallo selvaggio.


©2014 Fulvio Bortolozzo.
Come un cavallo selvaggio, il fotografico resiste con tutte le sue forze ad ogni tentativo di renderlo un docile strumento di trasporto, lavoro e divertimento. Come capita però alla maggior parte dei cavalli selvaggi, le briglie finiscono prima o poi per porre termine alla sua libertà nativa. I domatori, e ne nascono di nuovi ogni giorno, hanno tecniche via via più sofisticate, ché il puledro è sempre pronto a tornare alle sue praterie. La più antica, e ancora una delle più efficaci, è la parola. Mettete delle parole accanto ad una fotografia e l'avrete costretta ad andare nella direzione voluta. Se non bastasse, le parole potete anche mettercele sopra, come ben sanno i comunicatori pubblicitari. Altra briglia particolarmente efficace è la grafica. Inserite la fotografia in un impaginato predisposto con cura, o anche sovrapponete segni, colori e forme al fotografico. Ecco che una fotografia senza particolare senso, e magari nemmeno di grande qualità estetica, diventa qualcosa d'altro e si avvierà ciondolando dove la vorrete condurre. Non bastasse, nell'epoca della multimedialità interconnessa e sociale, ci pensa la musica a riempire il fotografico di stati d'animo. Prendete delle fotografie, anche le più banali e scialbe, e montatele in uno slide-show con un bel sottofondo epico. Come cambiano, come tutte sembrano trovare un senso trionfale che mai avrebbero avuto nel silenzio dell'osservazione di ciascuna di esse. Infine, ma non per ultimo, sovrapponete ad una fotografia le stigmate di una nostalgia farlocca usando magari dei filtrini automatici: finto polaroid, finto seppiato ottocentesco, finto pellicola recuperata dalle grinfie di un gatto, ecc. Come cambiano le fotografie, come diventano piene d'espressione e sentimento. Come vi appartengono. Sì, perché lo scopo finale di tutto questo lavorio incessante è quello di far diventare propria un'immagine che non è tale. Una traccia nata liberamente dalla luce che attraversa un foro o un sistema di lenti e diventa durevole nella sala parto chimica o elettronica in cui viene accolta. Sala che lascia fuori ad aspettare il padre, foss'anche di genere femminile, in attesa del lieto evento. Sarà venuta? No? Una volta il parto durava dall'esposizione alla provinatura, oggi dura appena il tempo di veder apparire il neonato sul lato B di una fotocamera, ma nulla cambia. Il mio augurio è che possano ancora sopravvivere dei puledrini liberi e senza briglie, nella rinuncia dei troppi domatori a dar loro per forza un nome e un compito estraneo.

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