REST QUEST: Giovanni Minervini.

©2015 Giovanni Minervini, dalla serie Un altrove imprevedibile.

Come si intitola la serie pubblicata su REST e di quante immagini è composta?
La serie di immagini fa parte di un lavoro che si intitola Un altrove imprevedibile. Lavoro che si compone, nella sua interezza, di 46 immagini.

Quali intenzioni ti hanno guidato nell'impostazione della serie?
L'idea del lavoro nasce dalla lettura del tutto casuale di un articolo de Il Fatto Quotidiano che riportava l’ennesimo episodio di cronaca avvenuto nel Rione Luzzatti, un quartiere di Poggioreale, nella zona orientale di Napoli.
"‘Il rione Luzzatti è invalicabile. Le strade sono guardate a vista. Quando c’è un summit oppure lo stoccaggio dei carichi di droga addirittura i killer si appostano sui terrazzi dei palazzi come dei tiratori scelti".
Non mi interessava affatto un lavoro sulle periferie in cerca di un qualche degrado da raccontare. Il rione Luzzatti non è una periferia e il degrado non è immediatamente percepibile. Un altrove imprevedibile tematizza una zona di confine prototipica nella quale, fra l’altro, la criminalità prospera sulla base delle disuguaglianze non solo economiche. Disuguaglianze che hanno da sempre contrassegnato la storia di questo rione.  Ne parlo più compiutamente nella descrizione del lavoro sul mio sito:
 http://www.giovanniminervini.it/un_altrove_imprevedibile-r5898
Nella fase di scatto ho idealmente seguito due percorsi: uno tracciato dall'articolo di cronaca alla ricerca del "limite invalicabile" e l'altro dai murales dipinti da un ragazzo che, incontrato per caso, mi ha parlato dei suoi disegni da seguire come guida perché, a suo dire, rilevatori e narranti del malessere che il suo quartiere era costretto a subire. Ho cercato di fotografare con l'occhio, libero da pregiudizi, di chi osserva quasi asetticamente quei luoghi dall'esterno e contemporaneamente con lo sguardo coinvolto di chi invece vive ogni giorno all'interno di questa realtà: 6.000 persone in 42.000 metri quadri. Ecco perché, nella loro messa in sequenza, le immagini esterne si alternano con quelle effettuate dall'interno delle abitazioni. Volevo che le due diverse situazioni fossero dialoganti, allo stesso tempo antitetiche ma anche affini. Avrei avuto modo anche di fare dei ritratti degli abitanti ma ho scelto di evitare, lasciando a chi guarda la possibilità di immaginare la loro presenza, il loro aspetto, il loro vivere nel luogo.

Quali procedure di ripresa e post produzione hai seguito?
Le procedure di ripresa si sono svolte con la mia consueta metodologia che parte da una preliminare fase di documentazione, seguita da quella di osservazione pura per arrivare poi alla fase finale di ripresa. Qui la particolare location peraltro imponeva una certa cautela ed una necessaria conoscenza millimetrica degli spazi dove muoversi. Quindi ho per circa un mese girato per le strade del quartiere senza alcun strumento di ripresa limitandomi ad osservare, conoscere e soprattutto cercando di far accettare la mia presenza in un luogo dove ogni anomalia viene codificata come pericolo e dove ogni sconosciuto viene percepito come un potenziale "nemico". Inizialmente cercavo di nascondermi, mimetizzarmi. Da un certo momento in poi ho invece percepito che non era più necessario. E lì ho capito che potevo iniziare finalmente a fotografare.
Unico corpo macchina (full frame), unico obiettivo (35 mm). Le riprese sono state effettuate, in trenta giorni, sempre nella stessa fascia oraria con condizioni climatiche e di luce pressoché sempre uguali. In questo modo (cosa che in genere preferisco) ho limitato al minimo gli interventi in camera chiara.

Qual è in breve la tua storia nel fotografico?
La mia storia nel fotografico "in breve" è davvero molto breve...
La mia vita è stata un continuo girovagare in lungo e in largo su e giù per l’Italia. Tanti luoghi, molti volti, situazioni nuove e sempre diverse, ben poche certezze. All’età di diciotto anni entro all’Accademia militare di Modena. Un cambiamento radicale. Non l’ultimo. È qui che sento dentro la necessità di fissare situazioni, persone, luoghi, il mio quotidiano. Di fermare i ricordi, di iniziare a mettere ordine nel mio "disordine interiore". È questo il momento in cui scopro un potente mezzo per sospendere il tempo e attribuire importanza alle cose, così inizio a fotografare, o meglio, a ricevere fotografie. Le mie prime immagini sono timidi ritratti della vita in Accademia, paesaggi della bassa modenese. Fotografie che narrano in maniera semplice del legame che lega i luoghi alle persone: miniature di realtà. Non mi interessa affatto sorprendere, ciò che più mi attrae è anzi il "marginale" e penso che in questo senso la macchina fotografica sia per me l’unico mezzo attraverso il quale riesco ad attestare un’esperienza.

A cosa stai lavorando adesso?
Sto sviluppando la traccia segnata da questo lavoro proiettando la mia visione su quegli agglomerati abitativi sorti in Campania e voluti da una legge dello Stato all'indomani del terremoto del 1980. La catastrofe che doveva diventare occasione per colmare la fame abitativa di Napoli e che invece creò le cattedrali del disagio cronicizzato. Ambizioso e per nulla semplice perché, fra l’altro, moltiplica per diciassette le non poche difficoltà incontrate nel rione Luzzatti…per ora siamo solo alla prima fase.

Vuoi aggiungere ancora qualcosa?
Certo, la cosa credo più importante: grazie Fulvio!


REST 26/11/2016
SHOW EDITION
CREAZZO FUSCO LOMBARDO
MINERVINI QUIRINI RADO


REST 13/12/2015
CREAZZO GHIO LABELLARTE
MINERVINI MONI TONOLLI



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