Tu chiamale, se vuoi, emozioni.

Fino al 23 luglio prossimo, alla GAM di Torino e al Castello di Rivoli, è aperta un'unica mostra che si vede pagando due biglietti: L'emozione dei COLORI nell'arte. La curatela è condivisa tra Carolyn Christov-Bakargiev (considerabile capo-curatrice, visto che da lei parte l'iniziativa di questa esposizione), Marcella Beccaria, Elena Volpato ed Elif Kamisli. La consulenza scientifica è di Vittorio Gallese e Michael Taussig.

Motto della mostra, messo in testa al comunicato stampa è: "Finché siamo vivi, siamo vivi. Il colore è la vita" (Etel Adman, 29 settembre 2016). Mi pare una scelta perfetta che rivela la piena consapevolezza nei curatori di aver danzato sull'orlo della più grande tautologia.

In mostra vi sono 400 opere di 130 artisti di tutto il mondo che datano dal Settecento ad oggi. Oltre alle opere provenienti dalle collezioni permanenti di GAM e Castello di Rivoli, sono stati ricevuti vari prestiti da altre importanti istituzioni d'arte, tra le quali il Reina Sofia di Madrid, il Centre Pompidou di Parigi e la Tate Britain di Londra (la parte del complesso museale Tate dedicata all'arte inglese).

Ci sono tutte le premesse, e gli investimenti in risorse umane ed economiche, per un evento di grandissimo rilievo internazionale. Eppure mi è sembrato per tutto il tempo della mia visita alla GAM (mi riservo di correggermi eventualmente dopo essere stato anche a Rivoli), che questa montagna avesse partorito un topolino.

Certo il colore è la vita. Sicuramente Goethe aveva proposto un pensiero alternativo a quello poi stravincente di Isaac Newton. Indubbiamente oggi le neuroscienze stanno scoprendo nuovi orizzonti nel cervello umano che riportano in auge le intuizioni di Goethe, ma anche antiche tradizioni umane orientali. Tutto vero, tutto assodato. Ma l'arte cosa c'entra? Davvero Matisse indagava cromie e lì sta la sua vera essenza? Proprio sicuri che Fontana (Lucio) siccome ha tagliato una tela rossa invece che bianca stesse occupandosi di colore? Potrei proseguire, ma non vi voglio tediare.

Il succo del mio ragionamento è che sempre più spesso nei luoghi dedicati all'arte visiva vedo mostre che nel Novecento sarebbero state collocate nei Musei di scienza e tecnologia. I curatori sembrano più interessati a divulgare al pubblico le loro teorie, di cui sono innamoratissimi, che ad aiutarlo a riflettere sulla differenza tra un Paul Klee e un frigorifero. Il loro universo di riferimento è talmente letterario, filosofico e ripieno di parole che le immagini, le opere, diventano solo dei segnaposto alla tavola del loro discorso. I commensali devono guardare, meglio se con audioguide in testa piene di chiacchiere, ed annuire, possibilmente ammirati, dalle pozzate di scienza infusa che stanno ricevendo.

Stop. Mi sono sfogato. Alla mostra andateci, ma come andreste ovunque, anche alle giostre della Pellerina, che non sono meno piene di emozioni, colori e vita. Proprio pensando alle emozioni da luna park, i momenti in cui mi sono più divertito sono stati quelli del camminare sulle strisce catarifrangenti multicolori a pavimento e nelle stanze RGB di Cruz-Diaz. Forse valgono da sole il primo biglietto.

Addendum
- Fare una mostra sul colore in arte senza metterci nemmeno un Van Gogh per me è come bestemmiare in chiesa.
- In un testo di Carolyn Christov-Bakargiev distribuito alla stampa trovo scritto: "(...) trascorre più tempo di prima ad elaborare i colori RGB (rosso, giallo, blu), quelli dello schermo retroilluminato (...)"




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