Anche io, Daniel Blake.


Daniel Blake è un cittadino di Newcastle (GB) sulla soglia dei sessant'anni. Si tratta quindi di uno dei tanti nati della seconda metà degli anni Cinquanta, come me. Quelli che han trovato un'Europa in pace, un'economia in crescita, uno stato democratico fondato sul welfare e quindi un'aspettativa di vita da "cittadino", con dei doveri, ma anche dei diritti, concreti, reali, operanti.

Oggi tutto questo è finito da un pezzo. Siamo diventati utenti, clienti, consumatori, numeri sui computer dell'amministrazione pubblica e delle multinazionali. In questo mondo alienato, Daniel perde la capacità di mantenersi lavorando, come aveva sempre fatto, per via di un infarto. La macchina dell'assistenza pubblica invece di aiutarlo lo trita nei suoi meccanismi burocratici messi in atto da persone ridotte a funzionari della macchina, incapaci di assumersi la responsabilità di fermare gli ingranaggi quando rischiano di girare all'inverso.

Siamo in una fiaba alla Charles Dickens, che purtroppo assomiglia terribilmente alla vita di tutti i giorni.

Anche questa volta Ken Loach costruisce una visione realistica della situazione sociale, usando un visivo sobrio, ma non banale. Sempre lontano dagli stereotipi televisivi, asciutto, essenziale. Certamente colpisce nel segno. Daniel Blake sono anche io, come residuale cittadino di un modello sociale e democratico che sempre più vive nel ricordo, ogni giorno più lontano.

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