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Visualizzazione dei post da gennaio, 2017

L'ombelico dello sguardo.

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Quella che è andata in scena sabato scorso al Centro Culturale Candiani di Venezia Mestre è stata una recita a soggetto di due personaggi in cerca di fotografie. Un'occasione inattesa e imprevista che ha incontrato un'accoglienza calorosa da parte del numeroso pubblico presente in sala. L'incontro inaugurava il ciclo Lo sguardo e l'ombelico a cura di Giovanni Cecchinato . Negli intenti, doveva trattarsi di una relazione del prof. Riccardo Caldura sul rapporto tra fotografia e arte contemporanea e il contributo dell'esperienza di REST , la rivista di fotografie senza parole , portato dal sottoscritto. Invece, per una felice congiunzione astrale che si verifica a volte quando due spiriti liberi e amanti della conoscenza si incontrano, quello a cui il pubblico ha assistito è stato lo svolgimento di due pensieri sull'atto fotografico nascenti da due punti di vista diversi: quello dell'arte contemporanea e quello dell'iconografia fotografica. Grazi

Fotografie e parole, un amore non pervenuto.

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Ieri sera PHOM ha portato Renata Ferri e Michele Smargiassi alla Scuola Holden di Torino. Un luogo dove si allevano seminaristi della parola. Il tema era ghiotto: " Fotografia e parola nel prodotto editoriale ". L'inizio è stato di Michele Smargiassi che ha presentato, con il supporto di uno slideshow, un interessante esperimento dello scrittore Georges Perec. In questo suo articolo fotocratico del 2012 potete leggere di che si tratta: http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2012/02/03/quando-perec-sfido-la-fotografia/ Conclusione provvisoria: bisogna rassegnarsi al fatto che la fotografia non è un linguaggio, o meglio è un messaggio senza codice. Indi per cui, il rapporto con le parole rimane molto problematico. Due amanti che sembrano fatti apposta per non consumare mai. Applausi. Concordo pienamente, tranne nella necessità che debbano per forza amarsi. Quando non ce n'è, non ce n'è. Meglio che ognuno vada per la sua strada. A seguire, Ren

Al centro del discorso.

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Ogni tentativo di scrivere una storia, non un racconto si badi bene, non può non partire dalla definizione di un ambito. Sono state difatti scritte molte storie della fotografia, e altre se ne scriveranno, ma sempre a partire da presupposti precisi: l'evoluzione della tecnologia; l'albero genealogico dei Maestri, le ricadute sociali e politiche; il rapporto con l'arte; la funzione mediatica; la suddivisione in generi e stili, ecc. ecc. Chiaramente non può esistere una storia esaustiva, che riesca a comprendere ogni aspetto nella sua collocazione in relazione con tutti gli altri. Finirebbe per essere una mappa grande come il territorio che dovrebbe descrivere, quindi inadoperabile. In questo senso, tra i tanti approcci possibili ed egualmente interessanti, trovo particolarmente utile oggi proporre quello iconografico . Una storia quindi che descriva la linea che unisce il lavoro di alcuni fotografi capaci di rinnovare l'impianto visivo delle loro immagini a tal pun

Una cultura fotografica.

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Il problema è che a gran parte dei fotografi non interessa la fotografia, ma solo la loro fotografia. Non s'interessano assolutamente della fotografia degli altri. Non s'interessano minimamente di avere una cultura fotografica. Gianni Berengo Gardin Come sovente accade Berengo ha il dono di dire che il Re è nudo e come sovente accade può venire frainteso. Questo capita perché le parole non sono sufficienti per descrivere l'atto fotografico con tutte le sue complesse implicazioni. Prendere una fotografia non comporta necessariamente alcuna forma di apprendimento. L'esperienza la si fa ogni volta che qualche residuo spirito bizzarro ti chiede di fargli una fotografia per ricordo. Oggi nell'epoca dei selfie è un fatto sempre meno consueto. Al punto che un artista che apprezzo grandemente come Giuseppe Giacobino ne ha fatto il perno di un suo lavoro seriale intitolato Sconosciuto . Per soddisfare la richiesta, quando la fotocamera ti viene consegnata, il richi

Una collezione da Fico.

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Rimane tempo solo fino al prossimo 29 gennaio per poter vedere la mostra Realismo, Neorealismo e realtà. Italia 1932-1968 allestita splendidamente al MEF (Museo Ettore Fico) di Torino. Si tratta di 261 stampe fotografiche vintage di una sessantina di autori, tra i quali molti nomi notissimi e altri molto meno. Una ristretta selezione dalle oltre 1.500 della collezione di Guido Bertero . Le stampe perfettamente incorniciate e ben illuminate sono anche accompagnate da teche con autentiche "perle" editoriali dell'epoca, come la mitica prima edizione di Un paese , con fotografie di Paul Strand e testi di Cesare Zavattini. L'esposizione è suddivisa in otto sezioni tematiche che evidenziano i legami con la cultura e il cinema dell'epoca. Una scelta del curatore Andrea Busto che porta l'attenzione in modo trasversale sulle motivazioni ideologiche di fondo che sorreggevano, anche inconsapevolmente, le scelte iconografiche dei singoli autori. Il catalogo che acco

Ville, parchi, condomini.

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Da bambino vivevo a Torino nel crescente quartiere, allora periferico, di Santa Rita. Oggi è popoloso come una media cittadina italiana e completamente inserito nel tessuto urbano torinese. Della mia seconda infanzia, la prima la vissi in altre zone della città, resta fortissimo il ricordo, o meglio la sensazione, di un piccolo parco vicino al condominio dove risiedeva la mia famiglia: Parco Rignon. All'interno del parco c'è una graziosa palazzina settecentesca, Villa Amoretti . Così io figlio di emigrati veneti inurbato in un dignitoso condominio di periferia vivevo percezioni settecentesche. Nel mio piccolissimo, avrei poi capito Barry Lyndon , e le sue aspirazioni aristocratiche, proprio perché certe armonie, certe misure mi entrarono dentro respirando e camminando, senza averne precisa consapevolezza. Oggi vivo in un condominio dignitoso che si affaccia su di una piazza semicentrale di Torino, al culmine topografico di quattro quartieri. Vicino alla piazza c'è La

NAUFRAGI.

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Rimane sempre un po' imbarazzante scrivere del proprio lavoro. Il filo da percorrere in equilibrio senza cadere nel vuoto dell'autocelebrazione è davvero sottile. Per questo motivo mi limito alla notizia nuda e cruda: oggi ho completato il lavoro di edizione sulla serie Naufragi . Si tratta di fotografie prese lungo la costa tirrenica della provincia di Cosenza nel 2014 e, in ultima piccola parte, nel 2015. Grazie a tutti. Da anni sono sostenuto in vario modo nel proseguimento delle mie attività dall'attenzione di persone sensibili e affini. Durante una vita umana è davvero difficile pretendere di più.

Non si scrive, ma si descrive.

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Un'immagine fotografica comporta per definizione la riduzione delle innumerevoli possibilità di realizzazione di un'immagine solo a quelle consentite dalle leggi fisiche messe in gioco nell'atto fotografico e che originano dalla luce, procedendo poi per via ottica, meccanica, chimica e/o elettronica. Alla base di qualsiasi fotografia c'è quindi l'azione della luce che però non si traduce in scrittura, ma in restituzione, traccia. Tutto il visibile può venir ridotto alla sua traccia ottica durevole per il trattamento tecnico a cui viene sottoposta la luce. Al di fuori di questo ristretto campo applicativo non c'è fotografia, ma possono esserci comunque immagini, realizzate con altre tecniche e persino con risultati difficilmente distinguibili da quelli fotografici: famosi i casi dell'iperrealismo pittorico e della grafica computerizzata foto-realistica. Quindi una fotografia non è nient'altro che una descrizione, condizionata dalla tecnica, di un f

Vero o falso, purché a maggioranza.

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Babbo Natale non esiste , una giuria popolare dovrebbe decidere quale notizia sia vera o falsa sulla rete , la scienza non è democratica . Tre informazioni che girano su Facebook negli ultimi giorni e che non dovrebbero avere apparentemente nulla in comune. Penso invece che tutte e tre abbiano a che fare con la crisi del sistema occidentale basato sulla indiscutibile verità dei fatti rispetto alle opinioni. In questo senso, anche la fotografia fa parte del problema. Già molto si è scritto sul rapporto tra verità fattuale e fotografia. Le momentanee conclusioni del dibattito propendono oggi per l'inconsistenza di questo rapporto, così come fino a un paio di decenni fa propendevano per il contrario. La verità quindi è un'opinione. Babbo Natale esiste eccome se si crede che esista. Così come una notizia è vera se la maggioranza di chi la riceve pensa che lo sia e la scienza è democratica se chiunque può dire la sua in merito. Il modello di comunicazione attuale prevede il pr

Anche io, Daniel Blake.

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Daniel Blake è un cittadino di Newcastle (GB) sulla soglia dei sessant'anni. Si tratta quindi di uno dei tanti nati della seconda metà degli anni Cinquanta, come me. Quelli che han trovato un'Europa in pace, un'economia in crescita, uno stato democratico fondato sul welfare e quindi un'aspettativa di vita da "cittadino", con dei doveri, ma anche dei diritti, concreti, reali, operanti. Oggi tutto questo è finito da un pezzo. Siamo diventati utenti, clienti, consumatori, numeri sui computer dell'amministrazione pubblica e delle multinazionali. In questo mondo alienato, Daniel perde la capacità di mantenersi lavorando, come aveva sempre fatto, per via di un infarto. La macchina dell'assistenza pubblica invece di aiutarlo lo trita nei suoi meccanismi burocratici messi in atto da persone ridotte a funzionari della macchina, incapaci di assumersi la responsabilità di fermare gli ingranaggi quando rischiano di girare all'inverso. Siamo in una fiab

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