Sotto il vestito meno di niente.

L'altro ieri sulla pagina Facebook di Vanity Fair Italia (periodico di costume, cultura, moda e politica; fonte Wikipedia) è apparso un post che ha sollevato uno tsunami di indignazione social. Nel probabile tentativo di guadagnarsi simpatie umanitarie tra i frequentatori della pagina, espresse a colpi dei tanto agognati "like", hanno messo in competizione due immagini per l'intestazione natalizia: una fotografia davvero parecchio postprodotta del Monte Cervino innevato (visto dalla parte Svizzera, quindi chiamiamolo pure Mattehorn)  e un'altra invece decisamente fotorealistica di una scena di strada devastata da combattimenti, che nel post è scritto essere Aleppo, dove si vedono due giovani uomini che corrono nella direzione del fotografo con in braccio dei neonati stretti al petto. Sulla strada vi sono diverse altre persone in ombra sullo sfondo che non sono particolarmente agitate è c'è pure un bambino più grande, fermo, e apparentemente non inquieto, sul lato sinistro della strada, nella stessa luce dei due uomini in corsa. Il bambino guarda oltre la fotocamera come se alle spalle del fotografo ci fosse qualcosa o qualcuno.

Di entrambe le immagini, che ho scelto di non mostrare, non è dato sapere chi siano gli autori e nemmeno vi sono indicazioni sui contesti in cui sono state prelevate. Sono immagini quasi mute, per l'appunto, perché vengono dichiarati solo i soggetti: una vetta delle Alpi Pennine dal profilo inconfondibile e persone di Aleppo.

L'accostamento delle due immagini è quindi basato sulla loro pura e semplice iconicità. Accostamento richiamato dalla cronaca di questi giorni. Il Cervino innevato richiama l'imminente Natale perché nell'iconografia classica di questa festività cristiana l'associazione più diretta è con l'inizio dell'inverno, il 21 dicembre che è da poco passato, e con la neve, che in questo emisfero a queste latitudini in specie a quote elevate, dovrebbe diventare predominante nel paesaggio. L'altra icona è invece tratta dalla cronaca tragica della guerra siriana che in questi giorni sta trovando un punto di svolta con il ritorno del controllo governativo sulla città di Aleppo, fin qui caposaldo delle variegate forze che si oppongo in armi ad Assad. Svolta tragica perché dai tempi della Seconda guerra mondiale non era più successo che un numero così elevato di civili di un centro urbano si trovassero al centro di un conflitto devastante e con un'altissima percentuale di bambini tra i morti e i feriti.

Penso che la normalissima ragionevolezza del buon senso comune avrebbe dovuto impedire di fare un accostamento così stridente, soprattutto portandolo sul piano iconico. Non parliamo poi del farne addirittura oggetto di un piccolo contest a base di like sulla pagina di un social. Il direttore della rivista, Luca Dini, non ha fatto rimuovere il post, ma ha chiesto scusa dell'imbecillità commessa (parole sue). Il mio timore però è che più che di imbecillità si tratti di cultura delle immagini. Quando tutto diventa icona, tutto è fashion, tutto è glamour, tutto è marketing, si ottiene un azzeramento dei valori al più basso livello possibile, quello del mercato. Se tutto è merce e tutti siamo merce, tutto è ugualmente comperabile e vendibile: una tragedia umanitaria come una borsetta di pelle. Il silenzio, l'evitare di fare gli imbecilli in questo contesto è solo ipocrisia di convenienza. Si pensa, si fa, ma non si dice. Viva l'imbecillità quindi, se almeno ci fa vedere la nudità del re.

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