Per tutto il tempo che serve.

Insomma, per farla breve, nei commenti degli amici di Facebook al post di ieri, emergono tre linee di pensiero.

La prima condivide la mia ipotesi sull'assenza di fiducia odierna nella possibilità del fotografico di veicolare senso con una serialità nuda e cruda. E qui emerge anche la tesi che la sfiducia nasca da incapacità dei "fotografi seriali" di far bene il loro lavoro, ma non era mia intenzione spingermi su un terreno critico così scivoloso.

La seconda propende per una "mutazione genetica", nella quale si perde la forma classica della serialità a favore delle commistioni con parole, impaginazioni, cartotecnica e altro, dove l'opera finale è un oggetto nel quale il fotografo interviene sì, ma solo in parte. Quindi prevale una logica di produzione collettiva, che coinvolge più figure e competenze, a meno che non siano riassunte in un'unica persona la quale però a questo punto non sarebbe solo un fotografo.

E qui nasce la terza possibilità: l'artista.
Ebbene sì, nel momento storico in cui fotografare equivale tecnicamente quasi come a bere un bicchier d'acqua, arriva la necessità di ricreare un distacco tra l'indifferenziata produzione tsunamica in costante aumento e qualcosa che si vorrebbe fosse "di più" (artistico?). Certamente da un file ad un oggetto, come il "libro d'artista" per esempio, già c'è un crollo verticale dei numeri. Ma restano numeri importanti, se li mettiamo a confronto con i numeri del mondo dell'arte contemporanea. Tanti libri d'artista circolano. Quasi più libri che potenziali acquirenti. E allora?

Soccorre forse ciò che accade in altri contesti. Per esempio, le parole sono liberamente e gratuitamente a disposizione di tutti. Per questo se ne consumano, in specie sulla rete, molte di più di quante davvero ne servirebbero. Ammetto subito di essere parte del problema, così risparmio di farmelo notare. Però nel flusso delle parole inutili, quelle importanti non hanno smesso di esistere. Sono più disperse e sommerse, ma esistono. Così nella musica e via dicendo.

Ritornando quindi al libro come contenitore di serialità fotografiche autonome, non penso proprio che sia diventato obsoleto a fronte di nuove e meravigliose possibilità visive, dal libro d'artista al multimediale 2.0. Semplicemente è un'opzione che più di un tempo richiede capacità di realizzazione e un pubblico in grado di guardare, e riguardare, ciascuna fotografia per tutto il tempo che serve.



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