Ops, dimenticavo... scusate.

Abbiate pazienza, ma coloro che hanno avuto occasione di vedere fotografie di Steve McCurry negli ultimi anni, bisogna capire ancora da quanti anni, si son trovati a fraintendere il suo lavoro.

Dopo le sempre più numerose prove di fotoritocchi emerse sul web, alcuni maldestri, e persino la sospensione del suo sito, forse per evitare che i ritrovamenti continuassero, la Spezia Scozzese sente finalmente la necessità di chiarire una volta per tutte quale sia la professione che pensa di star svolgendo.

Alla buon'ora, sappiamo ufficialmente da una sua recente intervista che McCurry non è un photojournalist, ma un visual storyteller. Detto in soldoni la differenza che esiste tra fare giornalismo e ufficio stampa o redazionali. Ha saltato la barricata insomma. Peccato che troppe persone non ci avessero fin qui fatto caso, tranne ovviamente i suoi committenti, ben felici di non stare lì a spaccare il capello in quattro.

Cosa importano queste definizioni? Basta che l'icona sia coinvolgente, la storia bella da ascoltare. In fondo la verità non esiste, la fotografia è sempre bugiarda, mica sarete ancora qui tutti a credere che esista Babbo Natale no? Per di più vestito con il kilt invece che con la tutona rossa?

Non so come la stiano prendendo al National Geographic, pare male a giudicare dall'intervista, ma è certo che proprio comportamenti ambigui come questo del McCurry stanno minando dalle fondamenta il patto di fiducia tacitamente stretto tra chi riporta cosa ha visto in un luogo e chi ne riceve le immagini. Se raccontare storie, anche con bellissimi occhi verdi, equivale a dare notizie, ebbene tanto vale chiudere le redazioni di news. Bastano i proclami dei diretti interessati, ché le storielle le sanno raccontare benissimo da soli. O magari già è successo e il povero Steve è solo quello rimasto col cerino acceso in mano in un mondo mediatico ipocrita che spaccia da troppo tempo i comunicati stampa per notizie e il marketing occulto per "parole di verità".

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