Le anime nuove.


Ieri, 18 maggio 2016, nell'Aula magna dello IED di Torino, Francesco Jodice (1967) ha parlato del suo lavoro in un incontro aperto al pubblico, dopo aver tenuto una lezione riservata solo agli studenti.

In apertura dell'incontro si è subito presentato qualificandosi come artista. Non fotografo quindi, ma artista che lavora all'interno delle arti visive, usando anche la parola quando serve. Poi è passato a parlare di un suo lavoro recente sul Grand Tour rivisitato, composto da tre serie di fotografie prese con una fotocamera per il formato 4x5" su pellicole negative a colori. Le serie sono rispettivamente dedicate a Capri, Venezia e al Monte Bianco.


In realtà sul sito dell'artista le fotografie di Capri sono pubblicate come lavoro a se stante, del 2013, con  il titolo Capri. The Diefenbach Chronicles. Il progetto include 11 fotografie intercalate da 8 pagine estratte da vari testi e cancellate con vernice nera, tranne che per una singola frase, evidenziata quindi per assenza del testo restante. Le fotografie sono state prese direttamente da Jodice di notte in luoghi naturali dell'isola (tranne due riproduzioni di tele del Diefenbach) con una posa così lunga da condurre a fortissime sovraesposizioni. La luce ed i colori che se ne ottengono sono quelli stranianti di un impossibile giorno senza luce solare diretta, e tutto ciò che si muove, come il mare per esempio, risulta fluido e vaporoso o per nulla presente se il movimento è troppo rapido. Le stampe sono di grandi dimensioni. Una stampa in particolare, quella di un faraglione isolato, è stata così fortemente apprezzata dai collezionisti e dal pubblico da divenire una vera e propria icona dell'opera di Jodice.

Le serie su Venezia e il Monte Bianco, presentate subito dopo, sono evidentemente posteriori e seguono più o meno lo stesso approccio progettuale di Capri. Non si può quindi nemmeno escludere che il lavoro evolva ulteriormente in futuro, secondo la logica processuale dell'artista che trova nel work in progress un continuo terreno di sviluppo e verifica.


Al termine dell'incontro Jodice ha fatto vedere un breve film, Atlante (9' circa), che monta insieme spezzoni di film di altri registi e un suo girato alla statua ellenistica dell'Atlante Farnese conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Questo rimontaggio citazionista di film già esistenti mi ha ricordato una analoga operazione di Botto&Bruno visibile alla Fondazione Merz. Artisti tra l'altro generazionalmente vicini a Jodice.

L'insieme di questi lavori, e di molta parte della sua opera, se non tutta, ruota attorno all'idea che stiamo vivendo il declino dell'Occidente, della sua cultura e della sua arte. Una visione apocalittica, ricalcata sul precedente storico della caduta dell'Impero Romano, che tormenta Jodice e lo spinge all'urgenza di realizzare le sue opere come forma di impegno etico e civile, nel tentativo di risvegliare le coscienze.


A dimostrazione delle sue tesi porta il rapidissimo lasso di tempo che intercorre tra le epoche felicemente produttive della cultura, che situa dall'antichità classica al limite estremo degli anni Dieci, forse Venti, del Novecento, fino al trionfo di Masterchef (sic), della junk tv quindi. Altro paragone deteriore lo fa tra il Corriere della Sera di Pier Paolo Pasolini e quello di Beppe Severgnini. Solo esempi, senza nulla di personale indubbiamente, per dire che qualcosa si dev'essere rotto irrimediabilmente.

A mio parere a rompersi è stata invece la cultura elitaria borghese occidentale, quella davvero "alta", quella che imita l'aristocrazia senza averne però i quarti genealogici. Quella industriale nazionalista, responsabile di ben due guerre mondiali, che deve cedere il passo alla borghesia finanziaria globale. Con essa scompare l'alta cultura, immune e protetta da quella triviale e bassa delle classi inferiori. Non è più tempo dei Luchino Visconti, aristocratico per davvero e comunista pure, ma del talent e del contest. A giudicare su cosa sia arte non è più Lorenzo il Magnifico, ma un milione di clic sui social. Temo che la decadenza che fa soffrire Francesco Jodice non sia quella dell'Occidente, ma di una certa classe dominante privilegiata, intellettuale e colta, a cui lui appartiene di diritto per ascendenza, frequentazioni e formazione; che per di più lo colleziona, riconoscendolo come suo pari.

Warhol docet, oggi più che mai, volenti o nolenti. E non è perciò questo un tramonto senza altre albe. L'Occidente vive ancora, e vivrà a lungo, rimescolando tutto in forme diverse: barbare per le anime belle, vitalissime per le anime nuove.


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