Ce n'è sicuramente sempre più bisogno.

Ieri sera nello Spazio B di Torino è avvenuto l'incontro organizzato da Tiziana Bonomo di  Artphotò con Andreja Restek e Ivo Saglietti. La saletta era stracolma, a testimonianza dell'interesse suscitato dall'evento.

L'idea di riunire due fotogiornalisti così diversi si è rivelata eccellente. Nell'arco delle loro biografie professionali è contenuta ampiamente la vicenda storica del loro settore.

Andreja Restek rappresenta la vitalità attuale, la incarna persino. La scelta di non limitarsi a fotografare sul campo, che già è una cosa molto difficile e rischiosissima, ma di agire al di là e intorno, con il suo quotidiano on line  (APR news) e attraverso iniziative umanitarie come l'onlus L'ambulanza del cuore dice molto della direzione che si può prendere partendo dalle fotografie. Divengono occasione e motore per passare all'azione diretta e positiva sul corso degli accadimenti. Non più quindi solo testimonianza o documento storico, ma anche e soprattutto occasione per riunire forze, energie, persone da contrapporre alla logica della guerra e dell'ingiustizia sociale.

Diverso il percorso di Ivo Saglietti (1948). Segue nei primi anni di lavoro la strada intrapresa dopo essere rimasto colpito da un libro capolavoro, quello di Eugene Smith sul dramma di Minamata, e raggiunge riconoscimenti internazionali come il World Press Photo (1992, 1999, 2010). Nell'ultimo spazio d'anni si distacca progressivamente dall'editoria di settore e preferisce dedicarsi a progetti personali di lungo periodo. Da uno di questi, attualmente in corso e intitolato "L'Exile et le Royaume", ha proiettato diverse immagini riprese a Idomeni, nel settembre dello scorso anno, prima dell'afflusso in zona dei media internazionali e di miriadi di fotografi.

L'iconografia dei due fotogiornalisti è anch'essa molto differente e riflette le loro scelte operative. Restek usa il colore digitale, indulgendo a volte un po' troppo nella deriva contemporanea di caricare dettagli e contrasti fino alle soglie dell'illustrazione grafica. Questo lo trovo in contraddizione anche emotiva con la sua totale immersione fisica negli eventi, che arriva fino a farla divenire a volte addirittura protagonista iconica nelle immagini di suoi colleghi.

Saglietti adopera invece pellicole 120 e 135 in bianco e nero, con tutto quello che ne deriva in termini di operatività sul campo e in post produzione. Il suo visivo riecheggia uno stile tradizionale del fotogiornalismo con una scala tonale e una grana che rendono ogni immagine drammatica di per sé. Un approccio che forse oggi rimane molto storicizzato e distante da una sensibilità collettiva che trova più realistiche e coinvolgenti le immagini riprese in diretta e diffuse attraverso il web da camere digitali e smartphone.

Ad una mia domanda sul senso del loro operare, visto che mentre chi li ascoltava lì era certamente interessato, ma la stragrande maggioranza, compresi i passanti nella via in quel momento, direi proprio di no, le loro risposte sono state mozioni di volontà individuale. Ipotizzavo lavorassero per costruire iconografie utili a chi la pensa come loro, per sostenerne le posizioni, ma anche su questo punto non mi è parso di trovare un riscontro positivo. Una cosa ho colto da Andreja, quasi detta tra sé e sé, a proposito della sua APR news che paragonavo alle agenzie mainstream concorrenti: "...contro i mulini a vento...". Sì, mi pare davvero che ci sia qualcosa di donchisciottesco, o di eroico se si vuole, nel loro agire nonostante tutto in direzione ostinata e contraria, per dirla con Faber, e di persone così ce n'è sicuramente sempre più bisogno.




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