Fotografia criminale (parte II).


Proprio con una mostra affine al tema della fotografia criminale, inaugura a Torino lo spazio JEST, dedicato alla figura pionieristica di Enrico Federico Jest, l'uomo che già  l'8 ottobre 1839 prese delle vedute della città con la prima fotocamera italiana da lui stesso realizzata traducendo il manuale di Daguerre.


Tommaso Parrillo, già fondatore e curatore della casa editrice indipendente  Witty Kiwi books, e Francesca Cirilli, fotografa e fondatrice dell'associazione Fluxlab, hanno scelto di aprire JEST con un progetto personale di Pietro Paolini (Terra Project)  intitolato Caso collettivo 11.227 e dedicato allo sterminio di migliaia di militanti del partito di sinistra Union Patriotica, avvenuto in Colombia tra il 1986 e i primi anni del 2000.


Fino a non molti anni fa, sarebbe stato sufficiente un buon reportage di taglio classico, con alcune immagini drammatiche delle scene dei crimini, qualche ritratto ai sopravvissuti e magari anche ad alcuni degli assassini, con un bel testo di accompagnamento che spiegasse il tutto. Il veicolo sarebbero state le testate periodiche legate all'attualità e finita l'ondata di sdegno si poteva passare al dramma successivo.


Questo meccanismo si è però inceppato per diversi motivi, che sarebbe troppo lungo tentare qui di descrivere, ma che si possono sintetizzare con la crisi dell'editoria cartacea e la concomitante crisi di credibilità del reportage.


La risposta che Paolini trova in questo caso è nell'allestimento di una vera e propria installazione suddivisa in due parti: una testimoniale e l'altra evocativa. Su di un tavolo al centro della sala espositiva sono allineate sei cartelline consunte dal tempo. Aprendole, si sfogliano alcune schede, realizzate ad imitazione di quelle usate nei dossier d'informazione del passato. Ogni cartella riporta dei dati, delle fotografie, delle indicazioni su una persona uccisa. Tutte rigorosamente autentiche. La finzione è nella loro presentazione.


Alle pareti si allineano sei grandi stampe fotografiche. Ogni fotografia è stata presa da Paolini nel luogo in cui è avvenuto l'assassinio ed è la sua risposta emotiva indiretta ai fatti accaduti. Dettagli inconsistenti, che non hanno legami precisi con quanto è successo, ma contengono invece la presenza del fotografo, del suo lasciarsi impressionare, come una sorta di materiale umano sensibile alla luce.


Non so se questo apparato possa raggiungere gli esiti di coinvolgimento desiderati dall'autore. La finzione delle cartelle e l'evocazione minimale possono anche allontanare invece di avvicinare. Certamente questo modo di mettere insieme vari livelli esperienziali e concettuali mi pare un tentativo di narrazione più avanzato e interessante rispetto alla sola ri-presentazione museale di fotografie tecnico-scientifiche di ambito criminologico, come si è fatto invece nella mostra d'importazione attualmente esposta da Camera.

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