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Visualizzazione dei post da 2016

Buon Anno e grazie.

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Vorrei ringraziare di cuore tutti coloro che mi stanno seguendo su questo blog. L'anno che sta per finire mi ha dato risultati davvero inaspettati. Ho visto aumentare in modo esponenziale le persone che hanno avuto piacere e tempo di leggere ciò che scrivo. Questo mi conforta e mi spinge a proseguire anche per l'anno a venire perché, come in tutto ciò che faccio, cerco di rendermi utile in qualche modo al prossimo. Mica per altro, solo perché il prossimo sono sempre io, siamo tutti il prossimo di qualcuno. Buon anno e grazie ancora. P.S.- Non condivido questo post sui social, rimane qui solo per voi.

Scambiare cigni per anatre.

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Si fanno bei discorsi sull'immagine fotografica che sarebbe "solo" denotativa e non connotativa. Per quelli che non hanno fatto le scuole alte, significa che ci si vedono delle figure, ma non si riesce a sapere altro: nome della località, evento o situazione, fatti vari inerenti ciò che si vede. ecc. ecc. Insomma senza il soccorso delle parole l'immagine è un linguaggio monco, una sorta di figlio di un dio minore (difatti in origine era il Verbo, mica le figurine) che senza l'assistenza verbale serve a troppo poco. Questo però non accade per delle insufficienze iconiche, ma per dei marchiani errori di logica. Si scambia il cigno per un'anatra, si deride l'albatro che non riesce ad alzarsi in volo dal ponte della nave, si chiede insomma di assomigliare a qualcosa che non è nella natura delle immagini. Se si chiede ad un'immagine, non importa se fatta a mano o a macchina, di contenere ciò che non è le dato di contenere ecco che la frittata è fatta.

Sotto il vestito meno di niente.

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L'altro ieri sulla pagina Facebook di Vanity Fair Italia ( periodico di costume, cultura, moda e politica; fonte Wikipedia ) è apparso un post che ha sollevato uno tsunami di indignazione social. Nel probabile tentativo di guadagnarsi simpatie umanitarie tra i frequentatori della pagina, espresse a colpi dei tanto agognati "like", hanno messo in competizione due immagini per l'intestazione natalizia: una fotografia davvero parecchio postprodotta del Monte Cervino innevato (visto dalla parte Svizzera, quindi chiamiamolo pure Mattehorn )  e un'altra invece decisamente fotorealistica di una scena di strada devastata da combattimenti, che nel post è scritto essere Aleppo, dove si vedono due giovani uomini che corrono nella direzione del fotografo con in braccio dei neonati stretti al petto. Sulla strada vi sono diverse altre persone in ombra sullo sfondo che non sono particolarmente agitate è c'è pure un bambino più grande, fermo, e apparentemente non inquieto,

C'è Italy e Italy.

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Ricevo un comunicato stampa da Cesura Publish sulla recente uscita del libro fotografico Italy&Italy . Si tratta di un volume di ben 730 pagine (sul sito di Cesura risultano invece essere 632) contenente 336 fotografie, in prevalenza in bianco e nero, selezionate da Luca Santese (1985) tra le oltre 200.000 (sul sito c'è scritto 250.000) conservate nell'archivio del fotografo d'attualità Pasquale Bove (1958), foggiano di nascita e romagnolo d'azione. L'arco temporale della selezione di Santese copre gli anni anni Novanta o poco più. L'intento dichiarato del progetto editoriale, che è anche una mostra, risulta il seguente: " Il cardine concettuale dell’opera di editing è la volontà di creare, a partire dalla sconfinata e magmatica raccolta di documenti prodotti da Bove, una nitida e definita iconografia degli anni Novanta italiani a partire da una privilegiata prospettiva: la Rimini del periodo che va dalla fine degli anni Ottanta alla soglia de

Nel silenzio dell'indicibile.

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Proprio nel seminario dedicato a Walker Evans è emerso con chiarezza tra gli studenti il valore dell'allontanamento di ogni parola dall'immagine, in specifico fotografica. Un libro all'epoca rivoluzionario, e ancora oggi capace di sorprendere, come American Photographs può davvero essere considerato uno spartiacque fondamentale nella "lotta di liberazione" visiva dal linguaggio scritto-verbale. Il silenzio che Evans riesce a creare attorno alle sue fotografie è l'innesco indispensabile per poterle davvero guardare e quindi esperire, conoscere, liberamente. Libera-mente , cioè con la mente libera da binari, steccati, paraocchi, corridoi di senso precotti, preparati perché le domande trovino risposta prima ancora di essere formulate. Le immagini, e più di tutte quelle contingenti cioè fotografiche, sono universi, ma non universali. Sono mondi senza confini nei quali chiunque può cercare il posto più abitabile. Sovente questo cambia nel tempo e per questo

Tutto molto interessante.

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Nel fluire contemporaneo delle immagini, i riferimenti trasversali annullano le gerarchie, i generi e le suddivisioni tradizionali. La rivoluzione "iconocratica", che inizia nel 1839 con l'invenzione della fotografia, prende il sopravvento con l'espandersi dei mezzi di comunicazione a base visiva i quali si alimentano sempre più di icone fatte a macchina ottica. Dalle fotografie su carta, alle riviste illustrate, ai fotolibri, in un crescendo che con l'avvento del cinema sonoro (1927) aprirà le porte alla comunicazione audiovisiva di massa, divenuta poi televisiva ed oggi sempre più diffusa grazie a Internet. L'ultima barriera, quella tra produzione e diffusione si abbatte proprio sulla rete. Si spiegano anche così fenomeni come quello di Fabio Rovazzi , classe 1994, milanese che raggiunge milioni di contatti con i suoi video musicali pur dichiarando di non essere un cantante, ma solo un giovane che ama divertirsi e far divertire con i video. Tutto mol

REST 21/12/2016

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REST è una rivista stampata su carta di fotografie senza parole . I fotografi selezionati per REST realizzano serialità con immagini interessanti. REST cambia la priorità. La percezione visiva è la prima forma di conoscenza: istintiva, pre-verbale. Se avete bisogno delle parole chiedete direttamente ai fotografi. REST pensa: se un'immagine non funziona, centinaia, migliaia o milioni di parole non potranno salvarla. REST contains photographs without words .  The photographers selected for  REST carry out good projects with interesting pictures. REST wants to change the priority. The visual perception is the first form of knowledge: instinctive, pre-verbal. If you need words, ask the photographers directly. REST thinks: if an image doesn't work, a hundred, a thousand, or a million words won't be enough to save it. Guarda un'anteprima e acquista. Preview and buy . REST 21/12/2016 CASETTA CORRADI GRASSO PARAGGIO ROMUSSI TILIO F

La sostanza di ciò che si vede.

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Di recente sono finalmente riuscito ad andare a vedere la mostra personale di Armin Linke al PAC di Milano . Le mie aspettative erano guidate da una scarsissima conoscenza dell'autore, del quale trattenevo nella mente ben poche cose: mi aveva colpito, un decennio fa, la freschezza del suo lavoro all'interno della collettiva 6 x Torino ; avevo navigato una volta il suo sito congegnato con un'innovativa formula di massima libertà di selezione e accostamento; ogni tanto incontravo sue fotografie sulla rete e sulle riviste che mi sembravano improntate ad una certa rigorosa qualità internazionale di derivazione teutonica, ma non troppo, e in ogni caso sempre interessanti. Carico, o meglio scarico, del mio povero bagaglio varco la soglia del PAC e mi trovo di fronte ad un apparato di una complessità impressionante. Invece della personale di un fotografo, mi trovo proiettato in un'installazione site specific che vede coinvolti ben due curatori, Ilaria Bonacossa e Philipp

Uscire dalla gabbia.

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Di recente ho avuto modo di incontrare la resistenza di alcuni all'idea di potersi trovare di fronte a delle immagini fotografiche senza alcun supporto da parte delle parole, siano esse dette o scritte. Un vero è proprio horror vacui . L'immagine vissuta come abisso oscuro sul quale affacciarsi sia un pericolo mortale e vada perciò fatto solo con le dovute cautele verbali del caso per non precipitarvi dentro. Il timore parrebbe essere quello di non poter comprendere quello che si vede. Una sfiducia paradossale nella capacità del sistema occhio/cervello di risolvere l'enigma, come fosse tutta una trappola preparata ad arte per impedirlo. Penso purtroppo che le cose non stiano proprio così. Sarebbe in fondo una paura ragionevole perché rivolta alla necessità, tutta umana, di dare un qualche senso alle cose e alle esperienze. Invece leggo nel rifiuto del rapporto diretto con delle immagini senza la cintura di protezione delle parole il bisogno prioritario di conformar

La questione del soggetto.

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Di recente si è suicidato all'età di 83 anni il fotografo inglese David Hamilton . La notizia mi ha colto di sorpresa perché erano talmente tanti anni che non ne sentivo più parlare che poteva benissimo essere anche già morto. Di lui ricordavo quelle fotografie degli anni Settanta - Ottanta di giovani adolescenti nude e seminude avvolte in vaporosi effetti "pittorici", che si diceva ottenesse alitando sul filtro o usando gli allora tanto in voga Filtri Cokin . Famosa era anche la fotocamera che usava: la reflex Minolta. Per un certo periodo fu molto apprezzato non solo dai fotoamatori, che tentavano pure come potevano di emularlo. Minolta e Cokin ne ebbero discreti vantaggi economici. Le riviste, Photo in testa, lo pubblicavano volentieri e persino nella popolarissima collana Fratelli Fabbri Editori delle monografie   I grandi fotografi , comparve un fascicolo a lui dedicato nel 1982. L'iconografia di Hamilton era dichiaratamente orientata a soddisfare un gusto del

Immagini, non dipinti.

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Mi pare che un certo equivoco qui da noi sia molto diffuso. Mi riferisco al movimento storico del Pictorialism , che a cavallo tra Ottocento e Novecento si sviluppò in Europa e negli Stati Uniti. Tutto probabilmente nasce dal nome stesso che in Italia suggerisce una relazione privilegiata con la pittura . Diversamente da quanto è storicamente avvenuto e continua ad avvenire. Perché se si intende il termine pictorialism come riferimento alle pictures , quindi alle immagini in senso esteso, e non specificatamente alla pittura ( painting ), ancora oggi esistono ed operano fotografi che intendono realizzare delle immagini con le loro fotocamere. Qui il discorso potrebbe avvitarsi in uno sterile nominalismo, ma quello che mi interessa evidenziare è che una fotografia non può mai essere un dipinto, mentre, per la procedura con con cui la si ottiene, non può non essere un'immagine. Automatica invece che manuale, ma sempre un'immagine.

REST 26/11/2016 Show Edition

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REST è una rivista stampata su carta di fotografie senza parole . I fotografi selezionati per REST realizzano serialità con immagini interessanti. REST cambia la priorità. La percezione visiva è la prima forma di conoscenza: istintiva, pre-verbale. Se avete bisogno delle parole chiedete direttamente ai fotografi. REST pensa: se un'immagine non funziona, centinaia, migliaia o milioni di parole non potranno salvarla. Questa Show Edition  è realizzata con tutte le fotografie esposte alla  QR Photogallery  di Bologna, dal 26 novembre al 20 dicembre 2016. REST contains photographs without words .  The photographers selected for REST carry out good projects with interesting pictures. REST wants to change the priority. The visual perception is the first form of knowledge: instinctive, pre-verbal. If you need words, ask the photographers directly. REST thinks: if an image doesn't work, a hundred, a thousand, or a million words won't be enough

Il mondo così com'è.

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©2004 Paul Graham. Nel libro Europe: America  c'è un'intervista di Kevin Moore a Paul Graham nella quale il discorso verte ad un certo punto sul problema della definizione di fotografia documentaria per il tipo di fotografia praticato dall'autore. Inizialmente Graham tenta di schivare la questione, che gli viene di certo posta di continuo, ma dopo un'ulteriore sollecitazione di Moore si rassegna e risponde così: (...) con il termine fotografia documentaria ci si riferisce ad un genere particolare di lavori prodotti per le riviste illustrate durante il periodo 1930-60. Furono grandi lavori del loro tempo, ma è davvero meglio se usiamo il termine riferendoci a quello specifico periodo. È sicuramente sbagliato usare il termine fotografia documentaria riferendosi al lavoro di Diane Arbus, Garry Winogrand, William Eggleston, Stephen Shore o Robert Adams. Non si può semplicemente etichettare come  fotografia documentaria i lavori di fotografi che escono a fotogr

La dittatura degli ignoranti.

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Viviamo un tempo nuovo, già da un po' a dire il vero, nel quale il contrario della conoscenza, l'ignoranza, è divenuto un valore positivo e per questo praticato con soddisfazione, facendosene pure vanto. La ribellione iniziò dalle parti del '68, quand'ero ancora un bambino. Lentamente, ma implacabilmente, alcune figure sociali di riferimento, come il maestro, il professore, l'intellettuale, l'esperto, insomma tutte quelle persone che avevano dedicato molti anni della loro vita ad acquisire conoscenze specifiche vennero via via perdendo di autorevolezza. Prima bastava un loro cenno per zittire chi osava interloquire inadeguatamente su discorsi di loro competenza, poi pian piano si iniziò a "contestare" quello che dicevano, senza però sovente portare argomenti contrari di un qualche razionale valore critico. Un modello di cultura autoritaria e gerarchica, basata sull'autoreferenzialità reciproca dei suoi componenti dominanti, si sgretolava so

E son soddisfazioni.

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Ci sono a volte cose che vanno per il verso giusto in ogni loro parte. Capita. Difficile quindi arrivare ad un tale punto di cieca autostima da attribuirsene il merito. Per fortuna, contro ogni apparenza per chi mi conosce troppo poco, soffro della patologia inversa e quindi posso solo registrare con soddisfazione una congiunzione astrale che mi ha regalato uno dei più bei laboratori che abbia mai tenuto. Milano porta bene, può darsi. Successe già in passato in altre belle occasioni. Milano mi porta di sicuro persone che vanno oltre l'immaginabile per darmi sostegno reale, concreto, indispensabile. Mi porta anche ascolto e disponibilità a mettersi in gioco da parte di chi si arrischia a partecipare al percorso didattico che propongo. Un rischio lo è senz'altro perché non regalo complimenti a nessuno. Non aiuto a coltivare vanità autoreferenziali simulando che la pirite sia oro. Il mio modo di essere utile è quello di non nascondere ciò che sinceramente penso di quel

REST-LAB parte da Milano.

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Bene, sabato e domenica prossimi terrò a Milano il primo REST-LAB sul tema Iconografie dai territori della contemporaneità . Il laboratorio verrà poi riproposto il 26 e 27 novembre a Bologna, in occasione della prima mostra collettiva di REST . Un lavoro iniziato il 9 agosto dello scorso anno, con la prima uscita di REST, sta proseguendo sempre più intensamente nella direzione del recupero di autonomia dell'icona fotografica rispetto ai contesti verbali e mediali in cui è costantemente immersa. La prima fase del laboratorio sarà teorica e servirà a ricostruire con i partecipanti l'impatto innovativo dell' immagine automatica dal suo apparire ai nostri giorni. Figlia dell'immagine ottica e della teoria prospettica, nel breve lasso di tempo storico che ci separa dal 1839, la fotografia ha reso possibile il paradosso di una moltiplicazione pluridimensionale del mondo nella forma di innumerevoli immagini, in costante aumento esponenziale. Qualcosa che sarebbe stato

Sì, no, non so.

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Periodo di dubbi notevoli. D'istinto, quando ho forti dubbi sto fermo in attesa di scioglierli verso una qualche direzione plausibile. Muoversi per muoversi non mi ha mai affascinato. In genere, il dubbio paralizzante mi si manifesta quando la ragione entra in tilt , trovando ottimi motivi equivalenti per fare sia una cosa sia il suo opposto. L'assenza, o almeno la sua imitazione che sarebbe l'immobilità, non sono senza conseguenze. Passano magari diversi treni, mentre si sta lì davanti ai binari a guardarli senza prenderne nessuno. C'è da dire che proprio questa attitudine mi consente di estraniarmi, di relativizzare la mia esistenza e quindi di poterla osservare mentre scorre quasi come se non mi appartenesse per davvero. Il sentimento di esistere nonostante me , in qualche modo mi rasserena invece di inquietarmi. Il vuoto che ne consegue ha qualcosa di pacificante. Mi rigenera persino. Lascio quindi che faccia il suo corso, che dal vuoto emerga inevitabilm

Maria Adelaide e gli Altri.

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C'era una volta a Torino l' ospedale Maria Adelaide . Dal 1895 agli inizi del 2016 vi hanno svolto il loro compito generazioni di medici e paramedici tra la soddisfazione generale. Poi le fiabe un brutto giorno finiscono ed ora per poter entrare nell'edificio, e constatare che è ancora intatto come se stesse aspettando di risvegliarsi da un brutto sogno, ci vogliono gli altri , quelli dell'arte contemporanea. Il disagio che provo, come torinese, nel percorrere spazi tutt'altro che in degrado e comunque abbandonati al loro destino di luogo dismesso, condiziona l'approccio a questa sesta edizione di The Others Art Fair . Un'edizione dimezzata, non solo nel numero degli espositori, dai 63 dello scorso anno ai 29 attuali (mai così pochi), ma anche nel rapporto con il Maria Adelaide. L'ex ospedale prevale sempre sulle opere, tranne che nell'installazione di Luca Gilli che assume a suo soggetto proprio l'ospedale stesso.

Artissima è ancora qui.

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E di questi tempi torinesi fatti di fughe ambrosiane e dismissioni culturali non è davvero poca cosa. Se possibile anzi, la trovo ancora più viva e interessante che mai. Negli stand delle quasi duecento gallerie presenti, delle quali i due terzi sono straniere, si trova davvero di tutto e il contrario di tutto. Così a caldo, mi pare che la fotografia sia sì presente, ma più che altro con valori già riconosciuti o come base tecnica per operazioni performative e installazioni. Il che forse non è un male. Penso difatti che per l'atto fotografico la relazione con l'arte contemporanea e moderna sia senz'altro qualcosa di molto fertile, ma non necessariamente il modo migliore di dare corpo alle sue possibilità concettuali ed espressive. Nel panorama delle proposte non riesco a cogliere una tendenza prevalente, insufficienza mia probabilmente. L'impressione è che si siano esaurite alcune spinte del Novecento e che si stia girando in tondo, una sorta di stand

L'oasi Flashback.

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Anche quest'anno sono tornato a visitare  Flashback , nella suggestiva sede del Palasport Olimpico (aka PalaAlpitour o PalaIsozaki) . L'impressione positiva che avevo ricevuto dalla scorsa edizione si è più che confermata. In un'atmosfera elegante e ariosa, si possono avvicinare dipinti, sculture, ma anche altri oggetti d'arte storica e moderna, selezionati dagli espositori per offrire ad un esigente pubblico di collezionisti pezzi di notevole raffinatezza. Il tempo trascorre piacevolmente tra uno stand e l'altro e passa alla fine troppo in fretta rispetto al desiderio di poter continuare a scoprire nuova bellezza. Tornerò quindi sicuramente anche il prossimo anno. Un appuntamento divenuto per me davvero irrinunciabile. FLASHBACK Palasport Olimpico ( Alpitour / Isozaki ), Torino. Ingressi da corso Sebastopoli 123 e via Filadelfia 82. Apertura fino a domenica 6 novembre 2016. Ore 11 – 20. Ingresso a pagamento .

Il tempo delle mele.

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Nella confusione provocata dalla suddivisione della pratica fotografica in documentaria (oggi anche post-documentaria) e artistica , si perde di vista un aspetto fondamentale: il tempo. Se consideriamo una fotografia come un'immagine fatta di tempo si aprono modi più coerenti di prenderla e comprenderla. Usare il tempo per fare immagini è qualcosa che prima dell'invenzione della fotografia significava solo dedicare parte della propria esistenza a realizzare manualmente oggetti che fossero sintesi visibili di qualche pensiero o sensazione. Con l'avvento della macchina a base ottica, per la prima volta gli umani possono introdurre un congegno direttamente nel flusso della loro esistenza e dal suo principio di funzionamento trarne delle immagini. Questo è uno straordinario cambiamento teorico e pratico che sposta la produzione visiva dalla sintesi tradizionale alla nuova possibilità analitica . Il problema è che la novità dovrebbe costringere a trovare nuovi parametri

Il problema siamo noi.

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Più passano le ore e più la vicenda Goro/Gorino assume contorni inquietanti, almeno per me. In fondo, potrebbe persino essere una riproduzione in scala di tutta la situazione nazionale. Dalle notizie che trovo, alla base abbiamo persone che vivono duramente del loro lavoro in condizioni difficili. Non sono povere, ma si sudano il loro decente benessere. Su queste persone piombano in successione: una requisizione della Prefettura, motivata da "emergenza", dell'unico ostello-bar della zona (bar in veneto e zona delta significa " oasi etilica per dimenticarsi della vita che si fa "), l'annuncio dell'arrivo di richiedenti asilo, l'organizzazione leghista di una protesta mediaticamente forte (le famose "barricate" che poi erano dei pallets in grado di fermare forse dei veicoli, non certo delle forze dell'ordine), 12 donne, una incinta, e 8 bambini (di cui non trovo testimonianza visiva alcuna), qualche carabiniere e, udite, udite, persin

Dietro la prima linea.

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Purtroppo solo fino al 13 novembre prossimo è visitabile nella corte medievale di  Palazzo Madama a Torino la mostra In prima linea. Donne fotoreporter in luoghi di guerra . Meritava davvero di restare di più, visto che nell'insieme l'idea iniziale di Andreja Restek , ha trovato sostegno e collaborazioni davvero capaci di condurla in porto con un'ottima qualità espositiva. Forse, data la tematica, si poteva limare il prezzo del biglietto per aumentare l'afflusso anche di persone e famiglie che non facilmente sono in grado di sborsare i dieci euro richiesti, ma ormai vedo che entrare ad una mostra o in un museo, se non ci si abbona in qualche modo, è sempre più un'attività onerosa. Il che forse farà più felici i venditori di offerte televisive on demand comodamente consumabili stravaccati nella "periferia mentale" di casa propria. In ogni caso, qui si tratta di 14 donne che di professione fotografano, per conto dei mezzi di informazione inter

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