Milano da riguardare.

 Il 20 maggio scorso, nell'ambito della mostra "Milano 1955 – 2015. Sessant’ anni di fotografie" realizzata dal Circolo Fotografico Milanese nella sede operativa del FAI, si è tenuto l'incontro "L'immagine della città". I 4 relatori, uno dei quali collettivo, hanno presentato due mostre storiche, una giovane rivista web contemporanea e una mostra annuale dedicata a Milano che si ripete da dieci anni in una galleria fotografica.

Al di là di quanto è stato detto e mostrato e dopo aver invitato a visitare il sito di "Milano Città Aperta" che ha grandemente suscitato il mio interesse, rilevo solo alcune cose.



La mostra del CFM propone 178 fotografie, tutte rigorosamente in bianco e nero, persino le più recenti, di vari appartenenti al circolo. L'allestimento è suddiviso in temi e le immagini sono plotterate sui degli striscioni appesi alla travata. Suggestivo, vagamente orientale, piacevole giocare a nascondino tra le fotografie, senza preoccuparsi dei temi. I fotografi di migliore qualità visiva emergono comunque e sono i soliti grandi nomi riconosciuti: Bassanini, Fantozzi, Colombo, Merisio, ecc. Anche senza leggere i nomi le loro fotografie sono quelle che trattengono di più lo sguardo. Più vicino nel tempo si coglie una dispersione iconografica che restituisce la dispersione culturale in cui viviamo, anche se singole notevoli immagini ne emergono.



Durante l'incontro poi, Cesare Colombo presenta la mostra del 1977 "L'occhio di Milano" che rende conto di un clima vicino alle tematiche del sociale e dell'urbanesimo in un'epoca pienamente industriale. Dalle prime immigrazioni al montare del disagio esistenziale.



Nel successivo intervento di Giovanna Calvenzi si ripercorre in estrema sintesi la mostra "Milano e il '68" aperta alla Triennale nel 1998, in occasione del trentesimo anniversario. Alcune delle immagini in questa mostra sono le stesse già esposte nella mostra del 1977 (Giovanna Calvenzi riconosce apertamente il suo debito diretto con Cesare Colombo), ma nell'insieme l'accento è messo sulla partecipazione di massa alle manifestazioni e sulle attività politiche dell'epoca. Nonostante il tempo trascorso, non colgo però nella mostra del 1998 alcun ripensamento critico del '68, anzi, pur con uno stile sobrio e ironico e nonostante che la parabola politica di Berlusconi sia già iniziata, si sente la soddisfazione di chi dalla Contestazione è arrivato a ricoprire anche ruoli significativi nella classe dirigente dell'epoca.



 L'esperienza del Journal of Urban Photography "Milano Città Aperta", presentata da Roberta Levi, Nicola Bertasi e Alfredo Bosco, è una boccata d'aria fresca. Dal 2009 lavorano sul web per dare visibilità a serie fotografiche urbane in vario modo concepite e realizzate. Udite, udite, nella seconda fotografia del loro slide show finalmente vedo la prima fotografia a colori dell'intera serata. Per me è un vero sollievo. L'iniziativa del miciap, così abbreviano la loro testata, è come dev'essere: acerba, imperfetta, ma dannatamente buona e per questo piena di futuro.


Infine Alessandro Scotti porta l'esperienza di "Prima Visione", mostra annuale a tematica "milanese" che si ripete alla Galleria Bel Vedere da dieci anni. Nello scorrere delle immagini, con un particolare accento su quelle presentate in vendita come stampe originali in una curiosa scatola stile Ilford, si snoda una Milano sempre meno popolata, abbastanza duomocentrica e piuttosto teatralizzata, secondo il gusto attuale. Nel dibattito Scotti chiede e si chiede perché dalle piazze gremite di gente e dal sociale in genere si arrivi oggi al Deserto dei Tartari. Giovanna Calvenzi, che fa anche parte del GRIN Photoeditors, associazione che seleziona i partecipanti a Prima Visione, propone come problema quello della Liberatoria, oggi indispensabile per un uso delle immagini a scopo di lucro. Difatti l'ambiente fotoamatoriale si ribella a questo e continua imperterrito a fotografare persone per strada, così come fanno però anche i fotogiornalisti, rischiando quindi del loro.


Penso tuttavia che un'altra ipotesi possibile stia nel fatto che la lobby dei fotografi in Italia conta meno di zero. Il nostro è un Paese rinomato per avere istituzioni forti con i deboli e deboli con i forti; di conseguenza il fotografo è l'ultimo ad avere diritti e quei pochi glieli si calpestano volentieri. Come minimo andrebbe anche aggiunto che l'operaio della catena visiva editoriale, il fotografo, è stato vilmente lasciato solo in primis dai suoi committenti, che per paradosso campano proprio su di lui. Un settore che intero e unito si muovesse per ottenere leggi adeguate (fotografi, giornalisti, agenzie, editori, stampatori, inserzionisti, ecc. ecc.), avrebbe ben altra attenzione a livello parlamentare. Ma vabbè, questi sono sogni a occhi aperti.


In conclusione ho visto tante fotografie fatte a Milano, spesso da milanesi, ma l'immagine di Milano oggi  mi resta oscura. C'è stata una Milano del Dopoguerra, quella dei Mulas, quella dei Colombo and company, persino quella da bere, ma adesso che Milano c'è nelle fotografie? La Dubai de noantri e basta?


All photos: ©2015 Fulvio Bortolozzo.

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