Il fotogiornalismo drogato.

Anche quest'anno il contest della fondazione World Press Photo di Amsterdam riesce nell'intento, sempre più evidente, di alimentare lo scandalo nel mondo del fotogiornalismo per raggiungere una visibilità mediatica che altrimenti non avrebbe.

La fotografia vincitrice è l'ennesima icona rimasticata da una storia dell'arte imparata sul Bignami. Lo scorso anno era toccato all'iconografia della Pietà cattolica, stavolta siamo dalle parti del caravaggismo.

Scorrendo poi le immagini vincitrici dei restanti premi si può apprezzare una sovrabbondanza di splatter in gran parte concentrato sulle vicende siriane e del mondo islamico, in genere rafforzato invariabilmente con un uso spinto di tutta l'effettistica più alla moda nel fotoritocco attuale.

Fa, in questo senso, riflettere che la prima frase nell'about the Foundation sul sito WPP sia: World Press Photo is committed to supporting and advancing high standards in photojournalism and documentary photography worldwide (World Press Photo è impegnata a sostenere e promuovere standard elevati nel fotogiornalismo e nella fotografia documentaria in tutto il mondo).

Forse più che sui singoli aspetti, come l'invadenza del fotoritocco o l'esibizione sfrenata della violenza, proprio su questo punto fondamentale sarebbe utile riflettere: gli advancing high standards. Temo che nella versione "olandese" questi standard elevati coincidano proprio con la capacità dei fotogiornalisti di bucare il rumore di fondo mediatico con immagini drogate, in quanto "stupefacenti". Che la droga nel fotogiornalismo arrivi da Amsterdam, non mi stupisce più di tanto. Una droga però, che come tutte le droghe, ingenera iniziale benessere ed euforia, ma rende schiavi di dosi sempre maggiori e sempre meno efficaci. Una spirale perversa verso l'autodistruzione. Proprio quello che sta succedendo al fotogiornalismo, costretto ad immaginare improbabili vie d'uscita "pittoriche" o "pseudoartistiche" (una specie di metadone...) nel tentativo di sopravvivere senza l'unico vero elemento fondamentale del suo esistere: l'etica dell'informazione.

A mio modo di vedere, non esiste una via media nel combattere la droga: o ci si droga o non ci si droga. Per questo un rimedio utile può essere quello della tolleranza zero verso ogni manipolazione post ripresa. La fotocamera contiene già una sua ideologia di funzionamento (l'inconscio tecnologico) che si può più facilmente imparare ad interpretare se il dato rimane com'è generato dal processo attuato in ripresa. Non si tratta di tornare ad epoche mai esistite di "purezza". Al contrario di inaugurare un'epoca dove l'icona la faccia solo la macchina nel momento in cui funziona e gli umani usino questo prodotto tecnico per la loro relazione con l'esistente. Uscire dall'informazione drogata si può, a patto di accettare la miseria formale di povere immagini tecniche, e non estetizzate a posteriori, per informare. L'invito quindi che mi sento di fare ai fotogiornalisti e ai photo editor è quello di lasciare l'estrema violenza e la post produzione all'ambito dell'espressione personale e della ricerca artistica. Diversamente ad Amsterdam, il prossimo anno, andateci per farvi un giro in bici o in barca sui canali e, per favore, risparmiateci l'ennesima dose della vostra droga...

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