Nelle terre desolate


L'ex Manifattura Tabacchi è un complesso industriale che venne edificato nella seconda metà del Settecento, quindi è in assoluto il primo mai apparso a Torino. La sua lunga storia sopravvive oggi a stento anche per l'interesse, seppur squattrinato, che dimostrano l'Università e parte del mondo culturale locale. Su questa linea si muove il programma estivo curato da Lorena Tadorni e Karin Gavassa che prevede di occupare fino al 22 luglio alcuni degli spazi dismessi con due mostre e vari altri eventi.



Nella mostra fotografica "Terre gaste" (traducibile come "terra desolata")  vengono esposte alcune opere di cinque (Federico Botta, Fabrizio Esposito, Rosalia Filippetti, Gianni Fioccardi, Giulio Lapone) degli ormai numerosi autori che danno gambe a "Il futuro del mondo passa da qui", un notevole progetto di osservazione multimediale di lungo periodo di una delimitata, e fortemente degradata, area fluviale torinese.



A mio avviso, gli spazi dilatati e corrosi dall'umidità non giovano affatto alle opere esposte. Forse perché non trovo seducente di per sé l'abbandono, e non coltivo l'estetica neoromantica della rovina postindustriale, ma sarebbe davvero preferibile che si trovassero una buona volta i fondi per dare dignità funzionale ai luoghi dove si espongono opere d'arte.



Detto questo, vorrei segnalare in particolare il lavoro del giovane Federico Botta, qui presente con due lightbox auto-costruiti con sapienza e dedicati ai venditori dei mercatini dell'usato. La tecnica di ripresa, che costruisce un buio squarciato dalla luce di flash opportunamente disposti, e il senso della composizione mi richiamano alla mente i migliori esiti internazionali della docu-fiction contemporanea.



Tra l'altro, Botta è stato anche osteggiato dal furto del rame dei cavi di collegamento elettrico operato nottetempo da qualche banda di specialisti del settore, probabilmente proveniente da mondi contigui a quelli osservati dai fotografi nei loro lavori. Una bizzarra legge del contrappasso che per fortuna non ha impedito l'inaugurazione, sia pur con un'illuminazione decisamente meno adeguata del dovuto.



In un ampio spazio collaterale, portato a buio completo, si apre la seconda mostra che consiste in una grande installazione video dell'artista Hasan Elahi facente parte di "The Orwell Project". Sia l'impostazione del progetto sia la vita artistica di Elahi sono di estremo interesse, ma l'installazione torinese non mi è apparsa particolarmente autonoma e seducente. Per poterne apprezzare il valore concettuale si rende quindi necessario leggere attentamente il foglio distribuito all'ingresso.



Infine una nota di colore. Il rinfresco è stato proposto sotto forma di sacchetto di carta individuale contenente una ciotola di insalata, qualche coloratissimo assaggino di sushi, una lattina di birra e le inevitabili bacchette. Originale e piuttosto divertente. Se non altro si è così brillantemente evitata sul nascere l'immancabile sceneggiata degli assalti al buffet in stile "diseredato a digiuno da un mese", da parte dei soliti ben pasciuti borghesotti presenzialisti. 


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